Nella gioia della Santa Pasqua siamo tutti chiamati, in primo luogo come cristiani e poi come aspiranti oblati nella famiglia di San Benedetto, a vivere la vita nuova dei risorti.
C’è un episodio, in particolare, nella vita di san Benedetto che ci parla della Pasqua.
“Un certo sacerdote, che abitava parecchio distante, si era preparata la mensa nel giorno di Pasqua. All'improvviso ecco una visione: è il Signore che parla: "Tu ti sei preparato cibi deliziosi, e va bene: ma guarda là; vedi quei luoghi? Lì c'è un mio servo che soffre la fame".
Il buon sacerdote balzò in piedi e nello stesso giorno solenne di Pasqua, raccolti gli alimenti che aveva preparato per sé, volò nella direzione indicatagli. Cercò l'uomo di Dio tra i dirupi dei monti, tra le insenature delle valli e tra gli antri delle grotte: lo trovò finalmente, nascosto nella spelonca (di Subiaco).
Tutti e due volarono prima di tutto al Signore, innalzando a Lui benedizioni e preghiere. Sedettero poi, insieme, scambiandosi dolci pensieri sulle cose del cielo.
"Ora - disse poi il sacerdote - prendiamo anche un po' di cibo, perché oggi è Pasqua". "Oh, sì, - rispose Benedetto - oggi è proprio Pasqua per me, perché ho avuto la grazia di vedere te". Così lontano dagli uomini il servo di Dio ignorava persino che quel giorno fosse la solennità di Pasqua.
"Ma oggi è veramente il giorno della Risurrezione del Signore - riprese il sacerdote - e dunque non è bene che tu faccia digiuno. Io sono stato inviato qui proprio per questo, per cibarci insieme, da buoni fratelli, di questi doni che l'Onnipotenza di Dio ci ha messo davanti".
E così, con la lode di Dio sulle labbra, desinarono. Finita poi la refezione e scambiata qualche altra buona parola, il sacerdote fece ritorno alla sua chiesa”. (San Gregorio Magno nel Quarto libro dei Dialoghi)
A ragione si può dire che tutta la vita di san Benedetto è stata una celebrazione della santa Pasqua.
Anche noi dobbiamo vivere nella nostra vita la Pasqua del Signore. Come questo è possibile ce lo indica lo stesso santo Padre Benedetto nella Regola.
La Regola è la via per la quale noi andiamo a Gesù.
San Benedetto ci descrive la vita da risorti soprattutto nel capitolo 72: “Del fervore che devono avere i monaci”, capitolo che si può intitolare anche … “Del fervore che devono avere gli oblati”.
In questo capitolo ci dice come poter vivere nella nostra quotidianità la vita nuova del Signore risorto.
Dopo la lettura cerchiamo di commentare insieme questo capitolo e di trarne degli insegnamenti pratici.
Capitolo 72: Il buon zelo dei monaci
1. Come c'è un cattivo zelo, pieno di amarezza, che separa da Dio e porta all'inferno,
2. così ce n'è uno buono, che allontana dal peccato e conduce a Dio e alla vita eterna.
3. Ed è proprio in quest'ultimo che i monaci devono esercitarsi con la più ardente carità
4. e cioè: si prevengano l'un l'altro nel rendersi onore;
5. sopportino con grandissima pazienza le rispettive miserie fisiche e morali;
6. gareggino nell'obbedirsi scambievolmente;
7. nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma piuttosto ciò che giudica utile per gli altri;
8. si portino a vicenda un amore fraterno e scevro da ogni egoismo;
9. temano filialmente Dio;
10. amino il loro abate con sincera e umile carità;
11. non antepongano assolutamente nulla a Cristo,
12. che ci conduca tutti insieme alla vita eterna.
Il capitolo 72 è considerato come la sintesi dell’intera Regola. San Benedetto condensa tutta la scienza della perfezione monastica in alcune massime brevi e piene. E’ un’idea antica quanto mai familiare a san Benedetto che ogni vita umana ha praticamente la scelta fra due direzioni e due soltanto, tra due vie: “quella del male”, della separazione da Dio, dell’inferno, “quella del bene”, della separazione dai vizi, dell’unione a Dio, della vita eterna. Su queste due strade due armate nemiche si affrettano e tra esse vi sono continui scontri. Ciascuna ha il suo capo e il suo stendardo, ciascuna la sua divisa, la sua tattica, le sue armi. In un campo sta la superbia, la disobbedienza; nell’altra sta l’umiltà, l’obbedienza. San Benedetto parla di due zeli, come sant'’Agostino aveva parlato di due amori.
“Zelo buono e zelo cattivo…”
1. Come c'è un cattivo zelo, pieno di amarezza, che separa da Dio e porta all'inferno,
2. così ce n'è uno buono, che allontana dal peccato e conduce a Dio e alla vita eterna.
3. Ed è proprio in quest'ultimo che i monaci devono esercitarsi con la più ardente carità.
I primi tre versetti del capitolo 72 ci dicono in poche parole cosa è questo “zelo”.
La parola "ZELO" viene dal greco, da una radice che significa "essere caldo", in ebollizione; quindi si tratta di una "passione", e comprende ira, invidia, gelosia, ecc. In latino "zelum" significa gelosia, sentimenti di rivalita`, che opera da agente disgregatore della comunita`, S.Paolo lo include tra le opere delle tenebre (Gal.5,20-21; cf. Giac.3,14 "zelo amaro"). Anche San Benedetto usa il termine nel senso di invidia, gelosia: RB.4,66; 65,22. Tutto questo e` uno zelo cattivo, amaro (v.1). Nella sacra Scrittura e nei Padri, la parola zelo indica più spesso una cattiva tendenza dell’anima l’asprezza nel cercare una soddisfazione egoista, anche a danno del prossimo.
San Giacomo aveva parlato per primo dello zelo amaro: al Capitolo 4, 1-17
“Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? 2Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; 3chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni. 4Gente infedele! Non sapete che l'amore per il mondo è nemico di Dio?
Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio. 5
O forse pensate che invano la Scrittura dichiari: "Fino alla gelosia ci ama lo Spirito, che egli ha fatto abitare in noi"?
Anzi, ci concede la grazia più grande; per questo dice:
Dio resiste ai superbi,
agli umili invece dà la sua grazia.
Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi. 8Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Peccatori, purificate le vostre mani; uomini dall'animo indeciso, santificate i vostri cuori. 9Riconoscete la vostra miseria, fate lutto e piangete; le vostre risa si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza. 10Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà.
Non dite male gli uni degli altri, fratelli. Chi dice male del fratello, o giudica il suo fratello, parla contro la Legge e giudica la Legge. E se tu giudichi la Legge, non sei uno che osserva la Legge, ma uno che la giudica. 12Uno solo è legislatore e giudice, Colui che può salvare e mandare in rovina; ma chi sei tu, che giudichi il tuo prossimo?
E ora a voi, che dite: "Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni", 14mentre non sapete quale sarà domani la vostra vita! Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare. 15Dovreste dire invece: "Se il Signore vorrà, vivremo e faremo questo o quello". 16Ora invece vi vantate nella vostra arroganza; ogni vanto di questo genere è iniquo. 17Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato”.
Ma la Scrittura conosce un altro genere di gelosia, quella che si applica a Dio, quando dice che "Yahwe` si chiama Geloso; egli e` un Dio Geloso" (Esodo 34,14), che non tollera rivali nell'onore e nell'amore a Lui dovuti. Da questa gelosia divina deriva lo zelo che animava gli uomini di Dio; "lo zelo della tua casa mi divora" (salmo 68,10) venne in mente agli apostoli quando videro Gesu` scacciare i venditori dal tempio (Giov.2,17); nello stesso senso San Paolo scriveva ai Corinzi: "Io sono geloso di voi, della gelosia di Dio, avendovi promessi a un unico sposo per presentarvi quale vergine casta a Cristo" (2Cor.11,2).
E` questo lo "zelo buono” che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna (v.2).
In questo senso la parola zelo ha il significato di ardore, fervore, come in RB.64,6; anche a proposito del portinaio si parla di fervore di carita`( RB.66,4). Il doppio zelo richiama la dottrina delle due vie, come spesso nell'AT e nel discorso della montagna, Mt.7,13-14. E` interessante notare che questo zelo buono che conduce a Dio e alla vita eterna si esplicita, come vedremo subito, nelle manifestazioni della carita` fraterna; cioe`: quella purificazione dei vizi e raggiungimento della vita eterna che San Benedetto aveva prima attribuito a tutto il cammino dell'umilta` (RB.7) qui e` attribuito all'amore fraterno, quindi l'unione dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo.
Ha scritto De Vogue`: "(...) l'ascetismo monastico (...) si arricchisce qui di una nuova dimensione. L'itinerario del monaco, dal timor di Dio fino alla carita` perfetta, attraverso l'obbedienza, la pazienza, l'apertura della propria coscienza, l'umilta`, il silenzio, la compunzione - per non citare che le prime tappe -, nelle quali il discepolo camminava sempre solo dietro le orme del suo maestro, si allarga e completa con un nuovo tracciato, finora poco indicato. All'ascetismo individuale praticato sotto la direzione di un superiore, si aggiunge un elemento nuovo: le relazioni fraterne".
Lo zelo è l’ardore segreto, il ribollire dell’anima, il suo calore e il suo fervore, lo zelo buono, il santo ardore, lo zelo di Dio a cui san Benedetto accenna, appunto, al capitolo
Egli ci dirà tra poco come si deve tradurre nella vita un tale zelo, qui nota solo quale ne è il frutto nelle anime: liberarle dalle sue passioni e condurle a Dio.
La direzione di tutti i nostri avanzamenti, parte dall’interno, e perciò all’intimo, all’anima mira San Benedetto e di là vorrebbe provocare un movimento decisivo. Tutto consiste in che cosa abbiamo nel cuore. Chi sa se non bisognerà rispondere. “io mi amo molto, per me non c’è che il mio io; c’è in me un grande ardore di affermazione personale; io sono tutto per il mio modo di vedere. E siccome non solo al mondo ma attorno a me ci sono altri io che limitano me pretendono ridurmi, il mio zelo diventa facilmente ardore d’impazienza, di collera, di contestazione, di rivolta. Se noi ci fissiamo in un’attitudine inerte e fredda abbiamo già scelto la morte. Lasciamo piuttosto che lo Spirito di Dio accenda in noi la fiamma del buon zelo che si chiama carità: Ama e fa ciò che vuoi (Sant’Agostino). Chi ama Dio porta in se in qualche modo la “regola”. E, se un fervore di fede e di tenerezza anima le nostre azioni, tutto va bene. Le cattive abitudini non possono resistere a questa fiamma vivente e tutta divina. Tale è lo zelo, dice san Benedetto che devono esercitare i monaci “con ferventissimo amore”.
Negli Atti degli Apostoli così è descritto lo zelo buono che animava la Chiesa nascente: “La moltitudine di quelli che avevano creduto era d'un sol cuore e di un'anima sola; non vi era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva ma tutto era in comune tra di loro. Gli apostoli, con grande potenza, rendevano testimonianza della Risurrezione del Signore Gesù; e grande grazia era sopra tutti loro. Infatti non c'era nessun bisognoso tra di loro; perché tutti quelli che possedevano poderi o case li vendevano, portavano l'importo delle cose vendute, e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi, veniva distribuito a ciascuno, secondo il bisogno”.
A noi oblati cosa ci dicono questi primi tre versetti del capitolo 72 della Santa regola?
Penso che ognuno può domandarsi:
Quale è lo zelo che io seguo?
Quale è lo zelo che ispira la mia vita, le mie scelte, le mie decisioni?
Trovo in me lo zelo amaro o anche lo zelo buono, o tutti e due insieme?
Nella mia vita spirituale cerco di far prevalere lo zelo buono, almeno mi sforzo per vincere le mie cattive tendenze?
Consigli utili
4. e cioè: si prevengano l'un l'altro nel rendersi onore;
5. sopportino con grandissima pazienza le rispettive miserie fisiche e morali;
6. gareggino nell'obbedirsi scambievolmente;
7. nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma piuttosto ciò che giudica utile per gli altri;
8. si portino a vicenda un amore fraterno e scevro da ogni egoismo;
9. temano filialmente Dio;
Si tratta sempre di carità e di carità fraterna: “Da ciò tutti conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore vicendevole” (Gv 13,35). Essa si manifesta con i riguardi e con il prevenirsi a vicenda. La carità si esercita con la sopportazione affettuosa delle infermità morali e corporali dei nostri fratelli e si potrebbe aggiungere con l’accettazione tranquilla delle nostre miserie. Tutto è comune in Monastero, in Famiglia i mali e i beni. Forse non è solo l’infermità del prossimo che si deve sopportare con pazienza instancabile ma anche la sua diversità.
Obbedite a gara l’uno all’altro, continua san Benedetto. Invece di cercare ciò che soddisfa il proprio egoismo, ciascuno cerchi piuttosto tutte le occasioni di fare del bene ai fratelli. E’ questa la grande legge del cristianesimo.
Per noi oblati
1. Fare unità tra quello che vorrei essere e quello che sono.
2. Essere buon samaritano per chi mi avvicina.
3. Essere capace di prevenire, di sopportare, di aiutare chi mi chiede aiuto.
4. Amare Dio e il prossimo in spirito e verità. “Da ciò tutti conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore vicendevole” (Gv 13,35). Essa si manifesta con i riguardi e con il prevenirsi a vicenda in famiglia, in parrocchia, nella vita sociale, al lavoro o in qualsiasi altro ambito nel quale operiamo. La carità si esercita con la sopportazione affettuosa delle infermità morali e corporali e si potrebbe aggiungere con l’accettazione tranquilla delle nostre miserie: la moglie con il marito, il marito con la moglie, ambedue con i figli o i nipoti, o quanti sono loro vicini. Tutto è comune in famiglia i mali e i beni. Forse non è solo l’infermità del prossimo che si deve sopportare con pazienza instancabile ma anche la sua diversità.
5. Obbedite a gara l’uno all’altro, continua san Benedetto. Invece di cercare ciò che soddisfa il proprio egoismo, ciascuno cerchi piuttosto tutte le occasioni di fare del bene. E’ questa la grande legge del cristianesimo, è questo l’essenziale nella vita dell’oblato.
Ultimi consigli
10.amino il loro abate con sincera e umile carità;
11.non antepongano assolutamente nulla a Cristo,
12.che ci conduca tutti insieme alla vita eterna.
Fin qui i consigli di san Benedetto hanno specialmente riguardato le nostre relazioni con i fratelli e gli eguali; da questo punto in poi sembra riguardino le relazioni con quelli che sono superiori a noi.
“Che non preferiscano a Cristo assolutamente nulla”, è questo il 21° strumento delle buone opere: è cosa facile in un momento di sincerità e di gioia spirituale, protestare al Signore che non gli si preferisce assolutamente nulla. E’ più facile ancora disdirsi nei particolari della nostra vita. Il Signore però ha pietà dei nostri desideri e fa in modo che a poco a poco noi diveniamo veritieri e non ci sia più altri che lui in noi.
Per noi oblati nel quotidiano.
1. Dare al Signore quello che gli è dovuto non anteponendolo a niente e a nessuno.
2. Amare chi mi è preposto come può essere il parroco nella parrocchia o il datore di lavoro.
3. Amare la moglie o il marito o i figli o i nipoti con sincera e umile carità.
Il capitolo finisce quindi con un augurio: amando i nostri fratelli, temendo Dio con timore amoroso, amando il loro Abate, aderendo interamente a Colui che si definito “Via, Verita e Vita”, possiamo tutti insieme giungere alla vita eterna. Amen.
Papa Francesco nell’omelia del 19 marzo scorso, giorno dell’inizio del suo Pontificato, ha parlato anche lui dello zelo buono che deve caratterizzare i cristiani: “Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!”.
Parafrasando quel che sosteneva il filosofo bavarese Ludwig Feuerbach («Siamo quel che mangiamo»), possiamo dire anche che siamo quel che sogniamo e quel che preghiamo. Leggiamo questa preghiera che Papa Francesco scrisse una quindicina di anni fa quando era vescovo di Buenos Aires. Ci sono in nuce i valori che il Pontefice ci ha già svelato in questi primi giorni di pontificato: umiltà, semplicità, comprensione, attenzione. E soprattutto il silenzio, tanto caro ai gesuiti, della preghiera.
Una preghiera per ogni dito della mano
1. Il pollice è il dito a te più vicino. Comincia quindi col pregare per coloro che ti sono più vicini. Sono le persone di cui ci ricordiamo più facilmente. Pregare per i nostri cari è "un dolce obbligo".
2. Il dito successivo è l'indice. Prega per coloro che insegnano, educano e curano. Questa categoria comprende maestri, professori, medici e sacerdoti. Hanno bisogno di sostegno e saggezza per indicare agli altri la giusta direzione. Ricordali sempre nelle tue preghiere.
3. Il dito successivo è il più alto. Ci ricorda i nostri governanti. Prega per il presidente, i parlamentari, gli imprenditori e i dirigenti. Sono le persone che gestiscono il destino della nostra patria e guidano l'opinione pubblica... Hanno bisogno della guida di Dio.
4. Il quarto dito è l'anulare. Lascerà molti sorpresi, ma è questo il nostro dito più debole, come può confermare qualsiasi insegnante di pianoforte. È lì per ricordarci di pregare per i più deboli, per chi ha sfide da affrontare, per i malati. Hanno bisogno delle tue preghiere di giorno e di notte. Le preghiere per loro non saranno mai troppe. Ed è li per invitarci a pregare anche per le coppie sposate.
5. E per ultimo arriva il nostro dito mignolo, il più piccolo di tutti, come piccoli dobbiamo sentirci noi di fronte a Dio e al prossimo. Come dice la Bibbia, "gli ultimi saranno i primi". Il dito mignolo ti ricorda di pregare per te stesso... Dopo che avrai pregato per tutti gli altri, sarà allora che potrai capire meglio quali sono le tue necessità guardandole dalla giusta prospettiva.
Anche io vorrei chiudere questa conversazione con un augurio per voi che prendo dalla lettera ai Galati dell’'Apostolo San Paolo:“ Che possiate vivere della vita dei risorti e dei frutti dello Spirito che è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo. Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri per vivere ormai la vita nuova nella luce della Risurrezione. Auguri e buon cammino!